NATURA E UOMO

Quarantasei anni or sono, di questi giorni, avveniva una delle peggiori tragedie che ha colpito, nel dopoguerra, il nostro Paese.

Alle 22,39 del 9 Ottobre 1963 dalle pendici del Monte Toc si staccavano 270 milioni di metri cubi di roccia che, piombando nel sottostante bacino artificiale creato dalla ben nota diga, sollevavano un’onda di terrificante potenza distruttiva. L’acqua, quasi compressa dalla stretta valle, travolgeva tutto quanto incontrava salendo sino ad Erto e Casso per abbattersi poi su Longarone.

 Il drammatico bianco e nero delle indimenticabili fotografie di Mario De Biasi ci permettedi rivedere quanto si presentò agli occhi dei soccorritori: un paesaggio sconvolto, spianato, solo morte, rovine, distruzione. Più di 1900 persone persero la vita, nessuno dei responsabili pagò in modo adeguato.

Dal Vajont ad oggi sono avvenute altre catastrofi le cui proporzioni sono state quasi sempre enfatizzate ed aggravate dal concorso di fenomeni naturali ed azione umana: in Italia c’è stato un perverso concorso di colpa tra cattivi governi e pessimi cittadini. Gli uni non hanno governato o hanno governato male mentre gli altri hanno agito in dispregio a leggi, regolamenti e buon senso pur di soddisfare piccoli o grandi interessi privati per soddisfare

L’Aquila, Viareggio, Messina sono le ultime tre croci, tre croci pesanti, che si aggiungono alle tante altre conficcate nel corpo tanto bello quanto delicato del nostro Paese.

Noi cittadini italiani siamo intervenuti costruendo ovunque, senza alcun rispetto per la natura, opere assurde, male realizzate, senza qualità.

Anche oggi, ripetendo litanie ben note, ci stiamo consolando favoleggiando di una natura eccezionalmente violenta ed imprevedibile: bugie, tutte bugie.

Anche oggi, secondo una prassi monotona, versiamo lacrime sulle bare accompagnate da applausi fuori luogo – il rispetto della  morte richiede meditazione e silenzio – promettiamo una ricerca rapida delle responsabilità ed una punizione esemplare dei responsabili, garantiamo che sciagure di tal fatta non si ripeteranno.

Dopo poche ore si ritorna alle consuete attività, al solito malcostume ma, purtroppo, anche se si diventasse improvvisamente rispettosi della natura e delle leggi non avremmo la garanzia di essere immuni da altri eventi catastrofici. I danni causati in passato sono tanto gravi e radicali da temere che siano irreversibili e, nonostante le conseguenze luttuose che scontiamo tutti, perseveriamo nel comportarci in modo dissennato stimolati in questo da leggi assurde (abbiamo dimenticato il Piano Casa che doveva essere distribuito alle Cancellerie di mezzo mondo con somma urgenza?),  protetti dalla indifferenza e, non raramente, dalla connivenza di chi dovrebbe vigilare.

In questa dissestata Italia opera però la Protezione Civile impegnata a portare soccorso e a tentare di contenere gli esiti negativi di frane, inondazioni, incendi, eruzioni, esplosioni e così via. Bertolaso, novella madonna pellegrina, è ovunque a rincuorare, sollecitare, coordinare. E le cosiddette autorità locali, i sindaci, che fanno?

I sindaci (individuati dalla legge 225 del 1992  quali responsabili degli interventi di protezione civile in ambito comunale) come organizzano le forze di cui dispongono, quali misure adottano, di quali strumenti si muniscono per eliminare o, quantomeno, contenere gli eventuali danni a uomini e cose causati da un evento disastroso?

Ci sono molti primi cittadini sensibili, solerti e previdenti che si sono dotati di tutto quanto occorre per fronteggiare l’emergenza ma ce ne sono anche molti che non hanno preso la pur minima misura preventiva.

I comuni, in particolare quelli severamente esposti a rischi di vario tipo (sismico, idraulico, industriale, geologico, incendi boschivi ecc.) devono dotarsi del Piano Comunale di Emergenza.

Il Piano non è altro che lo strumento operativo che fornisce le procedure dettagliate sul chi fa che cosa quando avviene un evento che incide in modo più o meno grave sulla vita di una collettività.

Il Piano deve essere continuamente aggiornato per tenere in opportuna considerazione le variazioni che un organismo vivo come una collettività continuamente introduce nel proprio comportamento e nel territorio in cui vive.

Il Piano deve essere reso noto alla popolazione che può essere coinvolta in eventi disastrosi: la corretta informazione e le istruzioni precise sul comportamento da tenere in caso di emergenza sono l’unico mezzo per contenere gli effetti deleteri del panico.

Il Piano deve essere testato continuamente con esercitazioni che coinvolgano gli operatori ( sindaco, strutture tecniche, forze dell’ordine, vigili del fuoco, strutture sanitarie, volontari di protezione civile e, più in generale, tutti coloro che possono essere chiamati ad intervenire) e la popolazione.

A Mantova come siamo messi?

Possiamo contare su una valida organizzazione – alcuni elementi inducono al pessimismo – o dobbiamo, di tanto in tanto, portare la classica candela alla Madonna sperando che ci protegga?

 

Ing. Alberto Mazzocchi