Il 5 settembre Regione, Provincia e Comune presenteranno al ministero una proposta dettagliata Intanto denunciano: l’accordo di programma è su un binario morto, non possiamo più aspettare.
MANTOVA. Il timore è che i veleni della falda corrano più velocemente della burocrazia. Quasi una certezza nel paese dei rimpalli di responsabilità e competenze, che si avvita sulle questione tecniche mentre il contagio si allarga. Se i rapporti di forza fossero altri, gli enti locali punterebbero i piedi e pesterebbero i pugni. Ma il coltello delle bonifiche lo stringe in pugno il ministero dell’Ambiente, dalla parte del manico. Così il 5 settembre Regione, Provincia, Comune e Parco del Mincio si presenteranno a Roma con una proposta. Un documento condiviso per disincagliere la messa in sicurezza dell’area Ies (intanto), per pretendere chiarezza circa tempi, modi e soldi a disposizione. Se gli equilibri fossero rovesciati, sarebbe un ultimatum. La smagliatura di senso è evidente nella stessa convocazione della riunione tecnica per il sito d’interesse nazionale Laghi di Mantova e polo chimico: al primo punto dell’ordine del giorno c’è la verifica di assoggettabilità alla valutazione d’impatto ambientale regionale del “progetto definitivo degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda - I Stralcio funzionale” trasmesso da Sogesid due anni fa; al secondo ci sono “le problematiche connesse all’utilizzo dell’impianto di trattamento delle acque di falda di proprietà Ies nell’ambito dello stesso progetto”. Delle due l’una, o il progetto è definitivo, e allora non dovrebbe soffrire di alcuna problematica, oppure è ancora incerto, precario. «Vogliamo che sia fatta chiarezza sui tempi, i costi, la fattibilità. Per questo ci presenteremo con una proposta concreta» ripete l’assessore comunale Anna Maria De Togni. «La riunione del 5 settembre sarà ancora interlocutoria - mette le mani avanti l’assessore provinciale Alberto Grandi – però potremo incalzare il ministero. La nostra situazione non è così grave come quella di Taranto, ma il caso Ilva può aiutarci ad accelerare i tempi, a sbloccare una situazione annosa. L’accordo di programma è finito su un binario morto». E ancora ci si accapiglia sulle acque di falda: per la Regione e gli enti locali sono reflue e come tali devono essere trattate (magari con un depuratore consortile, come a Porto Marghera), per il ministro sono rifiuti. Non è un dettaglio da poco. Il presidente del Parco del Mincio, Maurizio Pellizzer, e il suo vice Alessandro Benatti denunciano «un ritardo intollerabile» e avvertono: più si allungano i tempi e più lievitano i costi. A proposito, quanti soldi ci sono in cassa? A bilancio figurano venti milioni di euro, ma cinque devono ancora essere trasferiti dal ministero alla Regione e altri soldi sono già stati spesi per i lavori preliminari. Insomma, non c’è chiarezza nemmeno su questo. Vero, Taranto è lontana, ma quanto tempo abbiamo prima che i veleni della falda raggiungano l’acqua del Mincio? «È impossibile prevederlo - risponde la De Togni - Ma non possiamo più aspettare». (ig.cip)