BARACK OBAMA
di Mario Sella
Su Repubblica del 7 Novembre, un articolo del Presidente degli Stati Uniti d’America: “La sfida dei nuovi mercati”, dovrebbe far riflettere più di qualsiasi altra analisi economica o socioeconomica prodotta fino a questo momento. Ci troviamo di fronte al Capo della più grande economia mondiale che si reca in un’area del mondo in forte sviluppo (India, Indonesia e Corea del Sud), ma con sacche di povertà estrema e di sottosviluppo esteso, per implorare maggiori importazioni dagli USA al fine di risollevare l’economia e l’occupazione in quel paese. Ogni miliardo di dollari in più di esportazioni, dall’America verso l’Asia, l’occupazione salirebbe nel suo paese di 5000 unità, ed il governo Obama si è prefissato di raddoppiare nei prossimi cinque anni le attuali esportazioni USA verso quei paesi, che ammontano ad 80 miliardi di dollari, pari allo 0,54% del Pil statunitense.
Se ci trovassimo di fronte ad esportazioni di beni strumentali (attrezzature e macchinari), quei paesi, pur indebitandosi, ne trarrebbero solo del giovamento, ma si tratta in gran parte di beni di consumo e, quindi, di un trasferimento di ricchezza dai paesi poveri al paese più ricco.
L’impressione che se ne trae è che l’America, ma più in generale un capitalismo di pura rapina, sia giunto al capolinea e che stia grattando il fondo del barile nella speranza di risolvere problemi che ritiene congiunturali, ma che sono, viceversa, di sistema.
Giovanni Paolo II, già prima della caduta del muro di Berlino, paventava, più del perdurare del Comunismo, il fallimento del Capitalismo, del quale aveva intuito l’intrinseca fragilità.
Domenica scorsa, il suo successore, Benedetto XVI, ha richiamato i governi dei paesi industrializzati ad una visione del modello di sviluppo compatibile con le risorse del pianeta.
Finalmente si comincia a comprendere che la strada imboccata non ha sufficiente agglomerato di fondo per sostenere un traffico che sta diventando sempre più intenso.
I danni che la Finanza internazionale ha prodotto all’Economia reale sono di una gravità estrema, ma la colpa è della politica e dei Governi che, sollecitati dai loro elettori, non hanno avuto il coraggio di sgonfiare sul nascere, tutte le bolle speculative che, come in un caleidoscopio i cristalli di vetro, davano la sensazione di possedere delle ricchezze che erano soltanto illusorie.
Abbiamo di fronte una grande quantità di problemi da risolvere, a partire dalla disoccupazione giovanile che sta diventando la piaga più grave del nuovo secolo. Vi sono molti modi per affrontare questi problemi, ma la loro soluzione non appartiene ne alla destra ne alla sinistra, bensì all’intelligenza umana. Sarà per questo che si parla sempre meno di schieramenti e sempre più di possibili soluzioni condivise che investono persone che, fino ieri, appartenevano a schieramenti diversi.
Ma se la soluzione è quella cercata dal Capo del più potente paese del mondo, io, qualche dubbio sull’intelligenza umana comincio a pormelo, e non mi sento affatto rassicurato.