DI CHE COSA SI E’ AMMALATO QUESTO PAESE?

21 agosto 2011 - Mario Sella

Lo sport preferito di noi italiani è la critica e le critiche ai politici ed ai costi per i loro emolumenti si sprecano soprattutto in questo momento di crisi. I costi veramente gravosi della politica sono altri e riguardano: le mancate scelte, le scelte sbagliate, le scelte giuste che costano assai più di quanto avviene negli altri paesi, i costi impropri (leggi: concussione e corruzione) caricati su una economia che non riesce più a correre. Ma questo tipo di critiche fanno parte più della malattia che ha colpito questo paese, che della cura di cui avrebbe bisogno.

Credo che la malattia che ha colpito questo paese sia il “pressapochismo”, la scarsa attenzione a tutte le piccole cose, come se non avessero molta importanza. E questo vale nel pubblico come nel privato.

Nel privato, le generazioni che hanno sostituito i vecchi costruttori dei primi capannoni e della fortuna delle famiglie, uscite spesso dalle migliori università italiane ed internazionali, conoscono tutti i segreti dell’alta finanza e della tecnologia applicata al loro settore, ma non hanno l’umiltà e la costanza di dedicarsi con attenzione a tutti gli aspetti che possono determinare la fortuna o il fallimento di un’impresa. La cura dei particolari, che rappresentava una delle caratteristiche principali di quelli che, usciti dalle fabbriche o dall’apprendistato artigianale si erano messi in proprio rischiando fino all’ultimo centesimo ed indebitandosi molto, ora si è persa, perché manca spesso “la gavetta”, il sudore nella fronte che non mancava mai ai loro padri. Le imprese si sono ingrandite, è vero, e molte cose si devono delegare, ma il fallimento di imprese di seconda o terza generazione è dovuta proprio alla mancata cura dei particolari, all’idea di supplire con altri metodi alla gestione “maniacale” dell’impresa. In molti casi è mancato il coraggio, la volontà di gettare nell’impresa tutte le risorse necessarie per la ricerca e l’innovazione, per “anticipare” e non “seguire” soltanto. Il benessere raggiunto non predisponeva al rischio, al sacrificio indispensabile per avere successo. Mancava “la fame” che i loro padri avevano sentito nelle lunghe notti di un periodo infelice del nostro paese e che non si dimentica mai. Non si spiega questo declino, questa perdita di competitività nei confronti di un paese come la Germania dalla quale abbiamo appreso molto, ma alla quale abbiamo anche dato in termini di gusto, di genialità nelle scelte innovative e di ricerca, senza una caduta di tensione emotiva indispensabile per competere a livello mondiale. Non è solo la globalizzazione ad averci penalizzati (la Germania è li a dimostrarcelo), ma la “metodicità”, la costanza che è venuta meno. Dovremo attendere un’altra generazione “affamata” per riprendere a correre? Non penso che ne avremo il tempo. Il mondo sta correndo e noi rischiamo di respirare soltanto la polvere che solleva.

Mario Sella V. Carso 2 Mantova T. 3334286408