GUERRA E PACE
di Mario Sella
Non voglio parlare del grande romanzo di Leone Tolstoi che dovrebbe, a mio parere, essere letto nelle scuole italiane al pari dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, ma dell’eterna divisione nella sinistra sul tema: guerra e pace.
Bisogna essere dei pazzi per volere la guerra e, su questo punto, tutta la sinistra, ma non solo, tutte le persone di buon senso, concordano.
Bisogna essere pazzi per ribellarsi al dominio di una dittatura o di una oppressione sanguinaria, imbracciare spranghe e bastoni, qualche fucile sgangherato, come abbiamo visto fare ai primi insorti libici, e scatenare una guerra? Si, bisogna essere pazzi! Il dittatore che assolda dei mercenari e manda i suoi scherani, armati fino ai denti, a fare la guerra per debellare la rivolta, è un pazzo? Si, è un pazzo! Bisogna essere dei pazzi anche per frapporsi tra i due contendenti e, visto che si tratta di un conflitto armato in atto, usare la forza, per separare i contendenti e cercare di impedire dei massacri? Si, un poco pazzi bisogna esserlo, visto che comunque delle vittime saranno fatte.
E’ su questo punto che si verifica la spaccatura nella sinistra di tutto il mondo.
Da quando l’uomo ha cominciato a scacciare dalle caverne più protette le belve feroci, usando sassi e bastoni per avere un rifugio sicuro, la sua storia infinita non ha mai cessato d’essere una storia di violenza e di sopraffazione, che si è protratta contro i suoi simili ogni volta che percepiva la sua superiorità fisica.
La guerra non è “un accidente” che capita addosso e che si può evitare con un poco di buona volontà. La guerra è parte della natura umana che ha permesso ai più forti di sopravvivere ed ora che, il problema della sopravvivenza, con lo sviluppo tecnologico e scientifico, sembrerebbe superato, questa componente della nostra natura non vuole abbandonarci.
Con l’equilibrio del terrore rappresentato dal possesso dell’arma nucleare da parte dei più grandi paesi della terra, abbiamo finora evitato una nuova guerra mondiale per il timore di un reciproco annientamento, ma, regolarmente, le guerre che non hanno comportato questo rischio hanno continuato e continueranno per volontà di chi vuole ribellarsi o ritiene d’essere più forte.
Ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, come recita l’art. 11 della nostra Costituzione, è un atto altamente civile, ma soltanto fino al punto in cui “le armi tacciono”. Se la parola è già passata alle armi, che cosa possiamo fare? Stiamo assistendo proprio in questi giorni, con l’attacco dei “volonterosi” alle truppe di Gheddafi in Libia, quale sia la nostra totale incapacità di assumere una posizione che possa incidere minimamente nelle operazioni in atto.
Potevamo operare un’azione di mediazione mentre le truppe di Gheddafi stavano per soffocare nel sangue l’ultima roccaforte ribelle?
Avevamo la forza sufficiente per costringere il dittatore a fermarsi e trattare?
No, niente di tutto questo era nelle nostre possibilità.
Facendo parte di un organismo internazionale come l’ONU e di una organizzazione di difesa come la NATO, non avevamo neppure la possibilità di restare estranei al conflitto come qualcuno sta tentando di fare. Per chi vede il mondo soltanto in “bianco e nero”, per chi divide gli uomini tra “buoni o cattivi”, non esiste alcun dubbio da che parte bisognava stare, ma questo atteggiamento non è mai stato in grado di risolvere alcun problema se non supportato da argomenti persuasivi come una chiara superiorità d’armamenti. Vediamo USA, Francia ed Inghilterra, tutte potenze nucleari che stanno guidando i volonterosi, farsi tranquillamente “beffe” del nostro Primo Ministro lasciato in disparte ad assolvere compiti spettanti alla sussistenza. Neppure gli ammonimenti di Russia e Cina sono stati presi in considerazione per il semplice fatto che queste potenze non rischierebbero mai un conflitto per salvare Gheddafi.
Alzare alto e forte il grido: “no alla guerra”, non ha cambiato mai nessuna situazione critica e serve soltanto a mettere in pace le coscienze. In questo conflitto vediamo meno movimenti pacifisti indignarsi, forse per la repulsione che ispira il despota che si sta tentando di cacciare.
Una cosa non possiamo mai dimenticare: il motto latino: “si vis pacem, para bellum”.
Mario Sella V. Carso 2 Mantova T. 3334286408 - 24..03.2011