La Cgil come nella Grande Guerra Su una linea fortificata, ma rigida

14 settembre 2010 - Mario Sella

Nel nostro paese le posizioni raggiunte dai lavoratori garantiti dai contratti nazionali sono molto ben strutturate. Esse sono frutto delle lunghe lotte condotte nel secolo scorso da tutti i sindacati in un momento nel quale la forza contrattuale nei confronti degli imprenditori era particolarmente forte. In un certo senso mi ricordano i numerosi fortini disseminati sulle cime delle nostre montagne, nella guerra 1915/18, a difesa del confine dall’invasione straniera. Ma nel momento in cui l’austriaco decise di sferrare l’offensiva, essi non furono in grado di sparare un solo colpo per la semplice ragione che, nottetempo, il nemico aveva disceso le valli dilagando nella pianura. Nel 1940, egualmente, i tedeschi aggirarono a nord la linea Maginot, invadendo la Francia con estrema facilità. Questo è il destino di tutte le linee fortificate, ma rigide.
 La Cgil-Fiom, è asserragliata nei suoi fortini con i cannoni da 90 pronti a sparare, ma il nemico è ormai fuori tiro e non c’è verso di poterlo raggiungere. L’effetto della globalizzazione è stato di azzerare ogni posizione precedente costringendo tutti, imprenditori e sindacati, a rivedere tutte le strategie. Non per niente, l’ad Marchionne ha detto di vivere in un’era dopo Cristo. Chi non l’ha capito sono i dirigenti della Fiom che sperano di vedere arrivare il nemico per poterlo impallinare. Figuriamoci se si trova una persona di buon senso che non ritiene giuste le garanzie previste dai contratti nazionali e dalla nostra Costituzione a difesa dei lavoratori, ma non esistono diritti senza fabbrica, senza lavoro, come ha detto Bonanni. L’avversario, ammesso che si possa chiamare avversario l’imprenditore che cerca di sopravvivere in mezzo a competitori che si chiamano: Cina, India, Brasile ecc., si può sottrarre al combattimento semplicemente uscendo dal ring nel quale è costretto il nostro sindacato e i nostri lavoratori, facendo venir meno ogni ragione del contendere. Il problema difficilissimo che deve affrontare il nostro Paese, non potendo vivere di mezzi propri, è quello di mantenere le attività produttive, con forte impiego di manodopera, ancorate al nostro territorio offrendo condizioni migliori di quelle che si possono trovare in altri paesi. Sul costo del lavoro non possiamo competere, ma sulla qualità delle maestranze, sull’efficienza, sulla produttività, sulla certezza della consegna dei prodotti possiamo ampiamente competere con tutti. È necessario, però, un patto molto forte tra i lavoratori, i sindacati e gli imprenditori per iniziare una nuova stagione. Ci vuole coraggio a parlare questo linguaggio di fronte ad assemblee per nulla disposte ad un arretramento e la Cisl, Uil e parte della Cgil, l’hanno avuto. Se il nostro esercito, nei giorni successivi al 24/X/1917, non fosse arretrato prima dietro il Tagliamento e poi il Piave, oggi staremmo a raccontare una storia completamente diversa e forse in lingua ostrogota.