LA TERRA SENZA RISORSE.
Si potrebbero usare molte metafore per descrivere la situazione nella quale ci troviamo, non solo noi, con la falda attorno alla zona industriale completamente intrisa di idrocarburi e veleni vari, con la scoperta quasi quotidiana di fusti sotterrati come in un assurdo gioco alla ricerca di un tesoro nascosto, tesoro mortale per ogni forma di vita, ma anche paesi assai più grandi del nostro che vedono la situazione compromessa da assurde opere come la diga di Assuan e la grande diga delle tre gole in Cina che ha visto spostare più di un milione di abitanti per accorgersi poi dei disastri che l’invaso sta provocando. La nostra situazione è quella di chi sta annegando, ma si preoccupa di non bagnare il vestito. Stiamo assistendo ad una rincorsa globale al miglioramento delle condizioni di vita (intesa come disponibilità di cose da consumare), allo sviluppo, senza il quale non si creano posti di lavoro (è la litania quotidiana che sentiamo ripetere da tutti gli uomini di governo e da molti economisti), ma sembra che non ci preoccupiamo della disponibilità di risorse che questo pianeta ha a disposizione. Se qualcuno si permette di ricordarlo, viene preso per “menagramo” e tacciato di oscurantista a fronte delle immense risorse dell’intelletto umano. La fiducia che viene riposta nella tecnologia e nella scienza in grado di risolvere qualsiasi problema è pari soltanto alla fiducia che si nutre nel sorgere del sole. Effettivamente, già oggi, la tecnologia avrebbe la possibilità di inondare questo pianeta di ogni “ben di Dio”. Le fabbriche d’automobili, se lavorassero a pieno regime, 24 ore su ventiquattro, produrrebbero talmente tante automobili da intasare tutte le strade di questo pianeta. Ma non possono farlo a prescindere dalla domanda, non possono farlo perché non ci sarebbero sufficienti materie prime per alimentare le linee di produzione e per riempire i serbatoi di carburante. Questo fatto ci dovrebbe far riflettere sulla possibilità di puntare su uno sviluppo che preveda consumo di territorio e di materie prime non rinnovabili per creare nuovi posti di lavoro. Siamo nel terzo anno di una crisi globale che vede tutti i governi che si presentano alle elezioni, perderle regolarmente, indipendentemente di che colore fossero. Nessuno riesce più a dare risposte soddisfacenti alle domande che i cittadini pongono al sistema politico, perché non ci sono risposte possibili se non si esce dallo schema mentale nel quale questa umanità si è cacciata.
Il Capitalismo ha creato immense ricchezze, ma soltanto per una minoranza della popolazione mondiale, ha seppellito il Comunismo, ma questo sistema ha già scavato la fossa nella quale è precipitato (non ha scavato soltanto per seppellire le nefandezze di una produzione insostenibile), e a niente serve il disperato tentativo di risalire la china; più si agita e più profonda la fossa si farà. La massa della popolazione mondiale, compresi tutti i nostri precari, comunque la pensi il Ministro Brunetta, esclusi dai benefici di un sistema che non riesce a dare risposte, potrebbero formare ancora una volta il piedistallo per fare risalire il capitalismo a “riveder le stelle”, ma la consapevolezza dei diritti che una comunicazione globale ha ormai diffuso capillarmente, rende difficile disporre di capri espiatori a buon mercato. Le vicende dei paesi del nord Africa e della ancora più vicina Grecia dovrebbero dirci che è venuto il momento di cambiare completamente modo di pensare. I debiti degli stati sovrani si fa finta che possano essere rimborsati, ma ormai è chiaro che non potranno mai essere estinti, perché non potrà mai essere avviato uno sviluppo in grado di produrre le risorse sufficienti per farlo. L’inganno deve però continuare per non far crollare il castello di carte che una finanza immaginaria ha costruito. Quanto potrà durare non lo sappiamo. Se crollerà, non travolgerà soltanto i paesi meno virtuosi tra i quali occupiamo un posto in prima fila, ma saranno travolti tutti i paesi, indistintamente. Questa consapevolezza è la molla che spinge a finanziare ancora una volta la Grecia e poi gli altri paesi che entreranno in sofferenza, senza però giungere alle conclusioni finali: è finito il tempo dello shopping, è arrivato il tempo della morigeratezza. Il No, alto e forte, che gli italiani hanno detto al nucleare, significa questo.
Se riusciremo ad usare la nostra straordinaria intelligenza per una transizione non troppo dolorosa, avremo dimostrato di essere esseri pensanti. Viceversa, lo scontro che avverrà potrebbe significare la fine di una civiltà che non meritava di calpestare un pianeta così bello, ma immensamente fragile per la violenza alla quale l’abbiamo sottoposto.
Mario Sella V. Carso 2 Mantova T. 3334286408 – 17.06.2011