MANOVRE LACRIME E SANGUE

di Mario Sella

            Finalmente anche il governo Berlusconi, dopo avere negato per due anni che la crisi avesse investito in maniera grave anche l’Italia, sta prendendo atto (più Tremonti, pressato dall’Europa, che Berlusconi) che la crisi c’è e qualche cosa bisogna pur fare.

Quello che ha caratterizzato i governi berlusconiani, oltre alle leggi ad personam, è stata l’inerzia, il lasciar fare alle forze economiche e politiche che sono in campo, senza punto controlli, senza lacci e laccioli che ostacolino la libera iniziativa di chi detiene il potere e si guarda bene dal condividerlo con chi questo potere non detiene e viene tenuto fuori dal sistema .Fintanto che c’è stato del “grasso” da distribuire, prelevato in buona parte accumulando debito a carico delle future generazioni, le cose sono andate avanti senza scontentare la maggioranza della popolazione italiana (visto l’esito delle ultime elezioni politiche), ma ora l’Europa ha detto basta. La nostra presenza nell’area dell’euro, rende incompatibile un accumulo del debito pubblico oltre i limiti della bancarotta, già molto vicina. Ora è il momento delle scelte politiche e per Berlusconi, che non vorrebbe scontentare mai nessuno, la cosa diventa molto difficile.

Indipendentemente dall’evolversi della crisi, crisi di sistema e non congiunturale, per quanto riguarda il nostro paese, è dagli anni ottanta che abbiamo assunto un comportamento che definire “sconsiderato”, è poco. Mi chiedo quale famiglia avrebbe potuto indebitarsi, non per acquistare casa, per investire in macchinari o attrezzature per produrre, ma per distribuire favori e prebende, come hanno fatto gran parte dei governi in questi anni, senza che il capo famiglia venisse internato per incapacità di intendere e volere. Noi non solo li abbiamo confermati, ma, qualcuno che ha iniziato il dissesto,  lo volevamo innalzare agli onori degli altari.

La strada imboccata dal governo Amato con manovre di lacrime e sangue è durata poco.

Gli italiani, nuovamente, hanno pensato che uno stato possa essere governato in modo diverso da come un buon padre di famiglia conduce i suoi affari.

E’ straordinaria la dicotomia che caratterizza il pensiero di molta gente.

Ora tutti i nodi sono venuti al pettine. Ed è anche giusto che il problema del debito pubblico sia posto alla generazione che ha contribuito a formarlo in modo determinante.

Chi dovrebbe pagare l’enorme debito accumulato negli ultimi trent’anni se non la generazione degli ultracinquantenni?

I giovani che già ne subiscono le conseguenze con una diffusa disoccupazione o sottoccupazione?

Non tutti sono responsabili in eguale misura, ma è certo che le persone mature detengono la maggior parte del patrimonio nazionale, e non c’è possibilità di uscire dalla situazione in cui ci troviamo senza una sostanziosa patrimoniale, una bella tosatura, senza uccidere la pecora.

Tutti i provvedimenti che riguardano la lotta all’evasione fiscale richiedono molto tempo e altri provvedimenti che colpiscano il potere d’acquisto della gente non fanno altro che trascinare la crisi senza risolvere il problema. Molto si può fare controllando la qualità della spesa pubblica e la sua congruità, ma i politici, di governo e di opposizione, si guardano bene dal farlo. Ciò richiede fatica ed impegno continuo; molto meglio seguire i propri collegi elettorali elargendo possibili favori.

Il rientro dal debito, libererebbe risorse che servirebbero per finanziare tutte quelle infrastrutture necessarie ad attirare investimenti privati indispensabili per creare nuovi posti di lavoro, mentre oggi vengono impiegate per pagare interessi che in buona percentuale finiscono all’estero.

Subito dopo è indispensabile arrivare ad un federalismo solidale, caratterizzato dal principio di responsabilità della spesa e della raccolta delle imposte e tasse.

Dal vocabolario della lingua italiana deve essere bandita la frase: “mettere le mani nelle tasche degli italiani”.

Chi vuole fare parte di un consesso civile, deve contribuire, secondo le sue possibilità, al buon governo dello stato cui appartiene e deve andarne orgoglioso.

Chi si sottrae, l’evasore totale, non può appartenere a nessuna società e dovrebbe essere bandito.

Su questo punto una sinistra riformista responsabile non può tergiversare lasciando ad altri il “pallino” in mano. Ma soprattutto deve puntare a ridurre i costi esorbitanti della politica che si deve occupare di indirizzo e di controllo, soprattutto di controllo e non di gestione.

Non può neppure attardarsi a difendere situazioni che non sono più difendibili per mancanza di risorse. Il rischio che si corre, se continuiamo ad indebitarci, è di perdere gran parte del sistema di protezione sociale che è stato conquistato con lunghe lotte e fatiche. Se la sinistra si “arrocca”, vedrà la maggioranza della  società andare da un’altra parte fino a perderla di vista. Dobbiamo, al contrario, starci dentro, e per farlo è necessario muoversi, avere fantasia ed iniziativa, senza costruire dighe che sono destinate, inevitabilmente, ad essere travolte.