PENSIERO FORTE E PENSIERO DEBOLE
di Mario Sella
Due recenti episodi capitati quasi contemporaneamente a Roma e a Milano, potrebbero offrire lo spunto per deprecare ancora una volta la stupidità e la maleducazione sempre presente in tutte le società, ma non servirebbe a molto e non servirebbe soprattutto a far comprendere agli autori dei gesti la loro effettiva “forza” nella società. Il primo episodio riguarda la scritta “meno 4, accompagnata dalla croce celtica”, riferita ai quattro bambini Rom bruciati a Roma (quattro cuccioli d’uomo, direbbe una mia buona amica); il secondo riguarda un automobilista milanese che si è fermato accanto ad un bambino Rom di dodici anni che, con la sua cartella stava andando a scuola e gli ha lanciato uno sputo addosso.
Bisogna subito dire che i sentimenti, “i pensieri” che accompagnano questi gesti, non sono rari, non appartengono a qualche individuo “particolare”, ma sono molto diffusi, molto più di quanto si possa pensare, anche perché, dalla maggioranza, non vengono confessati.
Sono i sentimenti di una società che si sente assediata, in pericolo e che vede nel “diverso” nello straniero, una minaccia. Non sono cose nuove, ma sono sentimenti che hanno accompagnato la storia dell’uomo per migliaia d’anni e, sempre nei momenti di debolezza di una società, si sono fatti più forti.
Quello che, da queste persone, viene percepito come “pensiero forte”, perché si pone in difesa delle conquiste, dei beni accumulati, è in realtà un “pensiero debole”, proprio perché segna il momento della rinuncia all’espansione, all’inclusione.
Non è facile far comprendere che, la migliore difesa è l’attacco, perché si tratta di convincere quei vecchi “legionari romani”, carichi di bottino e di gloria che, se vogliono raggiungere le loro famiglie, devono posare a terra quanto hanno caricato sulle spalle, imbracciare ancora lo scudo e la daga e combattere. Non c’è la certezza che quanto hanno posato a terra lo troveranno ancora integro, ma c’è la certezza che, se non poseranno a terra il loro fardello, la battaglia sarà sicuramente persa e tutto sarà perduto.
Si sta diffondendo sempre più in questo paese un sentimento di difesa dei traguardi raggiunti, di isolamento, addirittura, di parti del paese rispetto al resto della nazione, come se la creazione di “sacche di resistenza”, potesse garantire una più lunga sopravvivenza.
Si, forse, si potrà sopravvivere qualche giorno di più, ma cosa serve sopravvivere se sono certo che la rovina sarà sicura?
No, cari compatrioti e compagni di viaggio, non possiamo soltanto difenderci dagli attacchi, ma dobbiamo accettare la sfida, posare tutto ciò che ingombra le nostre braccia e più di tutto le nostre menti, e guardare oltre la barricata. La salvezza non sta nella ridotta, ma in campo aperto dove tutti possono confrontarsi e misurarsi. Non saremo sicuri di vincere, ma sicuramente troveremo molti più alleati che ci aiuteranno nella battaglia.
Che cosa rappresentano i milioni di immigranti che “badano” ai nostri vecchi, che puliscono le nostre fabbriche, che alimentano i nostri altiforni, se non nostri alleati nella sopravvivenza?
Ci vuole molto più coraggio ad accettare la sfida che nascondersi dietro un paravento. Chi scrive quelle cose, chi vuole escludere il diverso, è in realtà un debole, un perdente in partenza!
Mario Sella V. Carso 2 Mantova T. 3334286408 – 13.02.2011