VERSO IL CONGRESSO NAZIONALE
Sto con Franceschini, perché il Pd ritrovi il coraggio delle scelte
In questi giorni entra nel vivo la competizione congressuale. Un percorso lungo e fin troppo complicato legittimerà a fine ottobre il nuovo segretario del Partito Democratico. In realtà questo congresso e la responsabilità del gruppo dirigente tutto di lavorare con il segretario che verrà (qualsiasi sarà), determineranno o meno la rinnovata fiducia nel Paese che un partito nuovo è veramente nato. Sarà così a Roma come a Mantova.
I Democratici di sinistra, partito al quale aderivo, fece l'errore di candidarsi tutto sotto il nome di Veltroni, ritardando di fatto quel "mescolamento" che dovrebbe essere non il fine ma certamente un punto di forza del partito democratico. Sappiamo tutti poi come sono andate le cose. Per la prima volta, non sotto elezioni, eleggeremo un segretario con le primarie, per la prima volta forse non avremo un segretario che vince con l'80%; può sembrare banale ma in realtà spesso era il candidato segretario nazionale a scegliere la propria base. Oggi le primarie e l'autorevolezza dei candidati possono determinare un fenomeno per noi forse inedito nella vita di un partito. Ciascuno è chiamato a scegliere la persona, il leader che maggiormente gli offre la forza di credere e impegnarsi per un partito capace di rappresentare quella moderna forza progressista di cui il Paese ha bisogno.
Sono convinto che, se ciascuno di noi guardasse alle alleanze che sostengono i candidati, troveremmo tutti diverse ragioni per non aderirivi a pieno.
Personalmente ad esempio riconosco da subito, da laico di sinistra, che la distanza tra me e l'on Binetti o i cosiddetti Teodem è netta; così come credo che tanti sostenitori di Bersani non condividono l'idea lettiana di allearci con l'Udc a prescindere, senza chiedere nemmeno a quel partito nazionale di optare per una scelta di campo chiara.
Diversamente è giusto che siano i territori su base programmatica a decidere quella alleanza.
Faccio questo esempio perché trovo singolare che chi proviene dalla mia stessa tradizione politica non ricordi che ad esempio, senza bisogno della Binetti o Rutelli, già la posizione dei Ds sui diritti civili era quantomeno timida e che la mediazione, anche interna, è andata via via sempre più al ribasso sino a divenire profonda. Il tema oggi non è se Bersani sposta più a sinistra il Pd di Franceschini o viceversa, la sfida vera è se questo partito raccoglie il coraggio troppo spesso mancato al centro sinistra italiano negli ultimi quindici anni, di determinare scelte e posizioni coraggiose, di produrre uno scarto culturale netto, innovativo, tra conservatori e democratici. E se, per fare questo, si rischia di perdere qualche pezzettino, si guadagnerà in credibilità pubblica, si rideterminerà quella capacità di mobilitazione individuale e collettiva che è parte essenziale di un partito che vuole essere organizzato, presente, interessante.
Il partito organizzato non può prescindere dalla capacità di essere e stare sui temi nodali della vita delle persone, delle comunità, del Paese. Se vogliamo che la partecipazione sia un tratto distintivo della buona politica dobbiamo anche saper indicare prospettive sociali moderne, culturali, di qualità civile. Dobbiamo essere convinti di andare anche controcorrente e proporre una visione di Paese e di comunità in grado di parlare e coinvolgere le risorse migliori, dell'impresa, del lavoro, delle professioni, del sociale, della cultura realizzando quel buon governo che non è mai semplicemente un fatto di amministrazione, ma di visione politica dei cambiamenti in atto.
Io ho scelto di sostenere Darlo Francescani, l'ho scelto perché a mio parere può meglio rappresentare l'idea di Partito Democratico: non è questione etnografica e men che meno di nuovismo, semplicemente la sensazione politica che può riuscire ad "allacciare e connettere" quei tanti mondi nei quali oggi si sperimentano nuovi modi di fare società, impresa, cultura. L'ho scelto perché accetto il rischio di vedere un film che potrebbe stupirmi.
L'ho scelto perché non vedo in discussione il profilo laico del partito che vuole costruire, al contrario proprio a lui chiedo di garantire non solo il confronto e la mediazione, ma la qualità della decisione per promuovere una moderna idea di cittadinanza, egualitaria, aperta, europea.
Lo sostengo perché non credo nel nuovismo ma nemmeno credo che un partito possa permettersi di non mettere alla prova della politica nazionale un'intera generazione che lavora e si assume responsabilità nel fare il partito e non solo, nei territori, nel governo delle comunità.
Per queste idee sostengo Franceschini, convinto che dopo il 25 ottobre non dovranno esserci correnti, qualsiasi cognome portino.
Mattia Palazzi
(lettera pubblicata sulla Gazzetta di Mantova sabato 5 agosto 2009 a pag. 29)