GIANNI MURA, CHI ERA COSTUI?

Giuseppe Smorto ha aperto con  commozione per “il Venerdì” le 33 scatole di biglietti, cartoline, disegni che gli spedivano i lettori- L’altra faccia della luna certifica però che a meno di due anni dalla scomparsa per gli studenti di giornalismo e letteratura Gianni è un illustre sconosciuto- E allora (non è una provocazione!) ecco l’idea per “Quelli che leggevano Gianni Mura

 

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Meno di due anni fa, il primo giorno di primavera, moriva Gianni Mura, qualcosa di più, molto di più di un giornalista sportivo. Giuseppe Smorto, uno dei “SenzaBrera & SenzaMura”, a sua volta stella filante di una generazione di scriba catalogabili domani (oggi non ancora, please) tra i Jurassic Park, gli ha dedicato un commosso-sommesso ricordo sul numero in edicola de “il Venerdì” di Repubblica. Titolo emblematico: “Quelli che scrivevano a Gianni Mura”, biglietti, cartoline, disegni che gli spedivano lettori più o meno celebri, conservati in 33 scatole dalla moglie Paola.

C’era ancora qualcuno tra il pubblico dei lettori (lo dico senza nostalgia, ricordi e rimpianti non devono andare a braccetto), c’era ancora qualcuno, dunque, che avvertiva la necessità di accendere, e di tenere in vita, un rapporto sentimentale con chi attraverso gli scritti lo faceva vibrare, riflettere, irridere, emozionare, sorridere, sbottare o più semplicemente pensare.

C’è di tutto in quelle 33 scatole magiche che Giuseppe Smorto ha aperto a sua volta con commozione perché di Gianni è stato spalla e sostegno in tanti anni di comunanza sodale in quella gemma giornalistico-letteraria che si chiamava (e si chiama) “Punto E svirgola”, una rubrica che bisognerebbe avere l’occasione, prima o poi, di far riemergere in un libro che diventerà pure di nicchia, dato il trend che vado ora a segnalare, ma che proprio per questo avrà maggior titolo per ritagliarsi uno spazio di attenzione prezioso.

Penso a “Quelli che scrivevano a Gianni Mura” e vado per associazione di idee soltanto in apparenza visionaria, a “Quelli che leggevano Gianni Mura”, un popolo destinato nel tempo (quanto tempo? Il tempo non passa, corre…) a rattrappirsi in maniera irreversibile e a diventare a sua volta di nicchia senza perdere tuttavia né un punto né una svirgola della propria aurea identità. Perché dico questo? Perché ho chiesto ai ragazzi del corso di giornalismo e letteratura sportiva dell’Università di Verona (era la lezione introduttiva) quanti di loro conoscevano il nome di Gianni Mura. Non si è alzata una mano. Ragazzi del secondo e terzo anno. Stesso risultato con i ragazzi di quarta di un Liceo Scientifico: Gianni Mura, chi era costui?

La domanda non era stata posta a caso. In passato (2008) mi ero accorto con sorpresa (e sconcerto) che ai cento ragazzi e passa presenti alla prima lezione (tutti del Nord Est, da Bergamo a Bolzano, a Trieste) il nome di Gianni Brera, scomparso soltanto sedici anni prima, non diceva proprio nulla. Ma illustri sconosciuti erano anche, cito volutamente alla rinfusa, Sandro Ciotti, Enrico Ameri, Fiorenzo Magni, Gastone Nencini, Dino Buzzati, Giovanni Arpino, Emil Zatopek e Gianni Rivera. Ho chiesto a un ragazzo che giocava a basket se conosceva il nome di Dino Meneghin: black out. Ecco tuttavia, alla fine della lezione, un punto e svirgola di magia, la coda del drago, quando ho chiesto a una ragazza in prima fila che sport praticasse.

“Atletica leggera”, ha risposto.

-Bene, la regina delle Olimpiadi: che specialità?

“Gli ottocento”.

-Tempo?

“2’ e 10”.

-Come? 2’ e 10” è un gran tempo! Alcuni anni fa il record italiano era di Gilda Jannaccone con 2’09”. Non sarai a livello di Gabriella Dorio ma se continui così…Oddio, spero che tu sappia almeno chi è Gabriella Dorio.

“Si, lo so: è mia mamma!”,

Quella ragazza era, ed è, Anna Chiara Spigarolo, all’epoca studentessa di Scienze della comunicazione. Risata omerica in aula, naturalmente, con la coda del drago a tintinnare però per una soluzione a sorpresa. Perché Anna Chiara Spigarolo, che non conosceva Brera, si è poi appassionata a una lettura così fuori dai canoni tradizionali, così ferocemente innovativa (Dolcechiaré Pelé…) al punto da laurearsi con una tesi altrettanto innovativa: “I Senzabrera”, neologismo creato da Gianni Mura per raccontare la generazione di giornalisti successiva al Gran Giuàn. Quella tesi ha offerto lo spunto per dare vita ai “Quaderni dell’Arcimatto” (Fuorionda editore, il sesto volume è oggi in preparazione), saggi sull’opera di Brera a cura di giornalisti e letterati testimoni a pieno titolo di un’epoca ormai irripetibile ma tenacemente decisi a conservarne il più a lungo possibile la memoria.

Sedici anni, dal 1992 al 2008, erano bastati a cancellare dalla memoria il nome di Gianni Brera e a farlo sparire da un’aula dove, bene o male, si studiavano giornalismo e letteratura sportiva. Per Gianni Mura il tempo di vanificazione si è ingigantito: sono bastati, nella stessa aula, meno di due anni. Ecco perché l’idea di “Quelli che leggevano Gianni Mura” tutto può apparire (persino un paradosso) meno che una provocazione.